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Un Due Tre ... Leader


PREMESSA

Spesso il coach altro non è che colui che, grazie ad una preparazione specifica, aiuta a far emergere il buon senso nelle persone con cui lavora, avvalendosi anche della conoscenza del pensiero di altri che, nella storia e in diverse discipline, si sono succeduti.

Faccio questa premessa per dire che dalla lezione di Sun Tzu, "vincerai sempre solo se conosci sia te stesso (e - aggiungiamo noi- la tua squadra) che il tuo nemico" e da un articolo dell'Harvard Business Review "Great Leaders Know They’re Not Perfect" oggi possiamo trarre alcune riflessioni sulla Leadership necessaria quando si affrontano nuove sfide e nuovi progetti.

Individuero' di seguito alcuni dei piu' frequenti errori nei quali il leader puo' incorrere in situazioni di questo genere, in particolare tre errori (e le possibili soluzioni). Perciò se mi permettete una divagazione giocosa, potrei intitolare questo post "Un, Due, Tre, Leader" richiamandomi al celebre gioco "Un, Due, Tre, Stella".


IL PUNTO DI PARTENZA E ARRIVO: mind&bodyfullness

Il punto di partenza e di arrivo e' sempre lo stesso: raggiungere la completa mind&bodyfullness, per muoverci con sicurezza e autorevolezza anche in situazioni diverse dal solito, che affrontiamo per la prima volta ed esulano dalla nostra esperienza, situazioni la cui complessità non è (ancora) nota.


La legge di Ashby afferma che, per governare un sistema complesso, è necessario possedere almeno il suo stesso livello di complessità. Questo significa che, di fronte ad una situazione nuova, la giusta leadership è quella capacità che ci permette velocemente di: analizzare le complessità del sistema che abbiamo davanti, comprendere quali possono essere eliminate e quali invece sono ineludibili e devono essere affrontate e, infine, quanto e come attrezzarci per risolverle, facendo leva sulle nostre e altrui competenze. Quest'ultimo punto significa essere in grado di sviluppare velocemente le capacità mancanti e, contemporaneamente, sapersi circondare di quelle persone che possiedono le altre competenze, quelle che, pur necessarie, noi non possiamo acquisire.


Di fronte ad una situazione nuova e complessa come quella descritta, se non si e' adeguatamente "centrati" e non si possiede mind&bodyfullness, si corre il rischio di cadere in uno o piu' errori. Tre sono quelli piu' frequenti, sui quali voglio soffermarmi.


PRIMO ERRORE

Devo essere comunque perfetto a prescindere dalla complessità della situazione e dalla mia capacità.

Essere autentici, centrati e consapevoli, significa non pretendere (o fingere) di essere sempre perfetti in ogni occasione e non pretendere che lo siano anche gli altri membri del team.

La pretesa di perfezione ad ogni costo nasce quando non ci si è presi il tempo necessario per allineare e sincronizzare le complessità della situazione con le complessità possedute da noi stessi e dalla nostra squadra. Significa vivere in un piano di irrealtà e muoversi nella nebbia, alla cieca, innalzando paurosamente il livello di stress nel team (immaginate di muovervi in uno spazio senza riferimenti) e, di conseguenza, riducendo drasticamente le possibilità di successo.

Se, poi, la pretesa di perfezione si unisce a comportamenti autoritari e aggressivi da parte del leader, comportamenti che aumentano proporzionalmente allo stress e alla nebbia della situazione (immaginate di muovervi in uno spazio senza riferimenti con una voce che vi urla qualcosa), entra in gioco un'altra componente, la voglia di vendetta dei collaboratori i quali, di fronte ad una tensione e ad una richiesta di perfezione esagerata (o non congrua), non aspettano altro che vedere il fallimento della perfezione del leader.

La pretesa di perfezione che nasce come appiglio per compensare la scarsa consapevolezza di sè (il basso livello di mind&bodyfullness) si trasforma cosi' in una prigione dalla quale è quasi impossibile fuggire.

Le persone del team hanno al contrario necessità di sapere che il loro leader sa di essere fallibile, ma che, al contempo, saprà come compensare i deficit del momento con azioni di rafforzamento future. Esplicitare le proprie debolezze crea un clima di fiducia, nasconderle no; se si è sufficientemente centrati ed equilibrati, si è in grado di farlo senza perdere autorevolezza.


SECONDO ERRORE

Devo trattare tutti allo stesso modo e sembrare perfettamente equo

In ogni progetto, in ogni processo ci sono complessità di diverso tipo e servono capacità differenziate; esiste inoltre una differente richiesta di impegno sia in termini di tempo che di persone coinvolte.

Pensare di trattare tutti allo stesso modo è uno dei più frequenti sintomi di debolezza e mancanza di "centratura". Anche in questo caso il radicamento, l'equilibrio e la completa mind&bodyfullness servono per avere la lucidità e la forza di differenziare responsabilità, coinvolgimento e ricompensa.


Conoscere se stessi e gli altri è una qualità necessaria per riuscire a capire come impiegare le diversità a seconda della situazione e, successivamente, decidere come compensarle a obiettivo raggiunto. La trappola, in questo caso, è pensare che essere giusti significhi trattare tutti allo stesso modo. Questa idea non rappresenta un valore morale o una capacità, ma nasce piuttosto da una forma d'ansia che prende chi è (iper)sensibile alle recriminazioni di quanti si lamentano dell'ingiustizia nell'organizzazione, peraltro quasi sempre in modo ingiustificato.


In questo caso si rischia di cadere nella sindrome dell'impostore e, non avendo la forza di spiegare e gestire le differenze, di cedere all'egualitarismo piatto e intellettualmente disonesto (http://www.treccani.it/enciclopedia/egualitarismo/).

Nella realtà le persone sanno che non tutti sono uguali e, se si accontentano i più "complaing" (lamentosi) solo perchè alzano la voce o sono più presenti, si crea risentimento e ansia nel resto della squadra.

Al contrario è necessario stabilire ruoli chiari e regole premianti : le persone vogliono chiarezza non uguaglianza.


TERZO ERRORE

Devo cercare di compensare eventuali lacune di capacità con la disponibilità 24/24 e 7/7

Cadere in questo errore significa illudersi che il proprio tempo sia infinito e dare agli altri l'illusione di onnipresenza, senza tenere conto, in primo luogo, dell'impossibilità reale di "esserci sempre" e, secondo luogo, della constatazione che più tempo si concede al team e più il team ne chiederà.


Conoscersi bene significa in questo caso sapere quanto tempo si ha disposizione per un progetto in modo da poter negoziare con ogni persona del team la quantità di tempo richiesta e comprendere le reali risorse di cui ha necessità. Questo perchè anche i membri del team possono cadere nell'errore di non capire di cosa hanno veramente bisogno e di sentire solo l'urgenza di avere il loro leader sempre a disposizione.


Ci vuole forza per limitare la propria disponibilità e decidere, al contempo, come dividere le risorse, come supportare le persone e come gestirle aggregandole, piuttosto che disperdere le proprie energie in "cure" personalizzate e conversazioni "one to one". E' necessario massimizzare il proprio impatto, garantendo a tutti il supporto necessario. L'energia, il tempo e le risorse non sono infinite e vanno utilizzate ottimizzando la loro efficacia.


I membri del team vogliono affidabilità e la certezza che, in caso di problemi, il loro leader li potrà supportare. Vogliono che qualcuno tracci la rotta e dia la prospettiva, che possa chiedere aiuto, se necessario, all'esterno del team.

E' meglio essere un punto di riferimento, un leader centrato e disponibile a soddisfare i reali bisogni e non una figura onnipresente, che compensa la mancanza di "centratura" con una presenza che non sara' comunque mai percepita come sufficiente.

Se , come ho detto, il tempo non è infinito, la ricerca della nostra "centratura" può e deve, invece, continuare a lungo.


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